Parlare di psicofarmaci con il paziente non è mai semplice, soprattutto perché sono molte le paure e i dubbi rispetto ad effetti collaterali, dipendenza, cambiamenti e in generale riguardo a cosa succede alla propria mente e al proprio corpo. Inoltre, gli psicofarmaci sono accompagnati, soprattutto in Italia, da pregiudizi, stigma e discriminazione e chi li assume può temere di essere considerato dagli altri una persona fragile, instabile oppure un “malato mentale”. Un elemento critico è la mancanza di una corretta informazione, che spesso porta le persone a considerare lo psicofarmaco nocivo per la propria salute. Assumere uno psicofarmaco non significa essere una persona fragile, debole e a volte è un passo fondamentale per poter stare meglio.
Quando servono gli psicofarmaci?
In terapia capita che ad un paziente si consigli una terapia farmacologica, soprattutto nelle situazioni in cui la sofferenza è troppo elevata e impatta in modo significativo sulla vita del paziente, che può aver rinunciato ad attività lavorative e sociali e la sola psicoterapia può non essere sufficiente per alleviare il malessere. Ovviamente il paziente non può essere obbligato ad assumere un farmaco, a meno che non si verifichino situazioni di ricovero sanitario obbligatorio (TSO).
Chi prescrive gli psicofarmaci?
E’ necessario precisare nuovamente che psicologi e psicoterapeuti, a meno che non siano medici, non possono prescrivere al paziente psicofarmaci. Possono, dopo aver fatto una attenta valutazione, suggerire al paziente di consultare uno psichiatra (che è un medico) per farsi prescrivere una terapia farmacologica. Lo psichiatra, dopo aver incontrato il paziente e fatto una accurata diagnosi, propone un eventuale farmaco.
Dati sugli psicofarmaci in Italia
Parlando di dati italiani, secondo il Rapporto OsMed del 2021 dell’Agenzia Italiana del Farmaco, circa il 7% della popolazione italiana fa uso di antidepressivi, che inoltre rappresentano più del 3% dei farmaci utilizzati in Italia. La durata media di una terapia è di otto mesi anche se in alcuni casi è necessaria una terapia a lungo termine oppure riprenderla se i sintomi si ripresentano. Sia la tipologia e che la durata della terapia farmacologica dipendono dalle caratteristiche individuali del paziente.
Cosa sono gli psicofarmaci?
Si tratta di una classe di farmaci scoperta negli anni cinquanta del novecento, che ha rivoluzionato la salute mentale. Per la prima volta è stato possibile affrontare efficacemente tutta una serie di disturbi mentali che prima non potevano essere trattati. Oggi gli psicofarmaci sono utilizzati per depressione, ansia, disturbi bipolari, attacchi di panico, disturbi di personalità, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbi alimentari e molte altre sofferenze psicologiche e hanno dimostrato una buona efficacia scientifica. Gli psicofarmaci si usano anche in tutta una serie di altre malattie più “fisiche” come disturbi gastro-intestinali, dolore cronico, insonnia, disturbi dermatologici ed emicrania.
Possiamo dividere gli psicofarmaci in quattro categorie: ansiolitici, antidepressivi, stabilizzatori dell’umore e antipsicotici. Tra i più famosi ansiolitici ci sono lo Xanax e il Valium (farmaci chiamati anche Benzodiazepine), mentre due antidepressivi molto utilizzati sono il Prozac e il Citalopram. Lo stabilizzatore dell’umore più utilizzato è il Litio, impiegato soprattutto per la cura dei Disturbi Bipolari. Esiste quindi una ampia gamma di psicofarmaci, che permette allo psichiatra di selezionare quello più adatto e valutare anche alternative qualora uno non funzionasse o avesse effetti collaterali troppo forti.
Come funzionano gli psicofarmaci?
La maggior parte dei disturbi mentali più diffusi, come depressione ad ansia, hanno un correlato biologico (cioè corporeo) al pari di malattie fisiche. Ad esempio ansia e depressione si collegano ad alterazioni all’interno del sistema nervoso della persona (d’altra parte, il cervello è un organo). Semplificando molto, alcune sostanze presenti nel sistema nervoso chiamate neurotrasmettitori sono presenti più o meno del dovuto. I neurotrasmettitori su cui agiscono gli psicofarmaci sono la serotonina, la noradrenalina, la dopamina, il GABA e il Glutammato. Lo psicofarmaco va a “riequilibrare” il livello di queste sostanze e fa abbassare i livelli di ansia e sofferenza del paziente. Di conseguenza il malessere diventa tollerabile e si può lavorare con il paziente, che inoltre può riprendere tutta una serie di attività lavorative e sociali e relazioni che può aver smesso di intraprendere e in generale recuperare il controllo sulla propria vita.
Tutto questo dipende dalla situazione esclusiva del paziente e dalle accurate indicazioni dello psichiatra, che lavorando in stretto contatto con lo psicoterapeuta, cerca di offrire la soluzione migliore per risolvere la sofferenza. Iniziare ad assumere uno psicofarmaco non è una scelta semplice ed è compito dello psichiatra e dello psicoterapeuta accompagnare il paziente nella scelta e spiegare in modo accurato come funziona il farmaco, quali sono i benefici e gli effetti collaterali. Di solito il dosaggio viene aumentato gradualmente, in base alla risposta del paziente. Eventuali follow-up (ulteriori incontri) con lo psichiatra, sono fondamentali per monitorare l’andamento della terapia ed eventualmente regolare il dosaggio.
Effetti collaterali degli psicofarmaci, dipendenza e rischi
Come tanti farmaci tradizionali, anche gli psicofarmaci presentano effetti collaterali ma questi possono essere tenuti sotto controllo e ridotti al minimo grazie al costante supporto dello psichiatra e dello psicoterapeuta. La dipendenza da psicofarmaci è uno degli effetti che può svilupparsi in alcuni casi e solo con alcune classi di farmaci (attenzione però a non sovrapporre e confondere gli psicofarmaci con gli stupefacenti e le droghe poiché non lo sono) ma anche in questo caso il continuo monitoraggio da parte di psicologo e psicoterapeuta serve a tenere sotto controllo la situazione.
In altre situazioni i pazienti, spinti anche dal pregiudizio verso gli psicofarmaci o allertati dagli effetti collaterali, sospendono il trattamento improvvisamente con conseguenze importanti sulla propria salute. In altri casi, la considerazione che tutta la sofferenza possa venire risolta grazie al solo uso del farmaco, porta le persone all’abuso. E’ importante precisare che l’assunzione di uno psicofarmaco non è la soluzione per tutti e non risolve il problema nella sua interezza. Il trattamento farmacologico andrebbe sempre accostato ad un percorso di psicoterapia.
Psicologi e psicoterapeuti che non sono favorevoli all’utilizzo degli psicofarmaci considerano questi come una soluzione temporanea che non va a risolvere il problema alla radice. In altri termini si tampona la ferita ma non si chiude. Si tratta di un punto di vista molto valido ma a volte gli psicofarmaci sono l’unico modo per alleviare la sofferenza del paziente e lavorare con lui.
Mi chiamo Paolo Nosenzo e sono uno psicologo e psicoterapeuta.
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Pubblicato il 25 Aprile 2025